ROBERTO DAL SENO - CHEF CONSULTANT - LOGO WHITE

Luci della ribalta in cucina…ancora per quanto?

Il mestiere del cuoco: dall’oscurità alle luci della ribalta, ma sarà vero?

Non mi è mai capitato nella mia lunga carriera di mettere per iscritto osservazioni o pensieri di natura sociologica o narrativa. Ho scritto per qualche magazine di settore è pur vero, ma sempre su temi propedeutici e con tagli professionali.

Tuttavia in questa fase della mia vita, diciamo Sabbatica, ho il tempo e la tranquillità per argomentare questo pensiero!

Chi è della mia generazione sicuramente ha vissuto gli anni 90 da commis o capopartita in alberghi o ristoranti più o meno strutturati e organizzati.

Qualsiasi fosse la partenza, la città d’origine e la struttura che ospitava le epiche gesta dei cuochi quarantenni di oggi, penso chiunque avrà vissuto il proprio apprendistato come un periodo duro, faticoso, pieno di adrenalina e annaspando fra una serata goliardica con gli amici e un rapido e doloroso risveglio per il banchetto o il matrimonio della domenica.

In questo contesto lavorativo tutto sommato divertente molti di noi sono cresciuti e hanno appreso un codice di vita lavorativo e comportamentale.

Ad ogni modo in quegli anni, sebbene fosse comunque una figura rispettata, quasi nessuno fra i molti miei amici e colleghi anelava a diventare o sognava di essere uno CHEF!

Eppure aveva le stesse responsabilità, mansioni e forse pure il potere di adesso!

Forse nessuno voleva farsi crescere i baffi!

Guai a non avere i baffi! …e che cavolo di Chef avremo potuto mai essere senza?

Personalmente scelsi di fare la scuola alberghiera al fine di una estenuante negoziazione con mia madre che avrebbe preferito fossi andato a lavorare,

intanto, diceva lei:- “che vai a fare a scuola a scaldare i banchi, non hai voglia di studiare!”

e infatti la scuola alberghiera fu scelta con furbizia dal sottoscritto perché non era certo il Liceo scientifico, dove bisognava farsi il culo!

Però il cameriere no! Almeno il cuoco non fa un mestiere servile!

Nessuno in quei anni avrebbe minimamente immaginato che da mestiere sicuramente equiparato a l livello di operaio si potesse pure diventare una celebrità!

A dire il vero già negli anni 80, gli anni in cui frequentavo la scuola alberghiera, esistevano i celebrity chef: Bocuse, Chapel, Troisgrois e l’emergente Gualtiero Marchesi !

Ma era una cerchia mitica, neanche si sapeva dove lavorassero, la stampa e la comunicazione di allora era molto striminzita sulle informazioni e sulle vite degli chef, diciamo eccellenti!

E la guida Michelin? Certo era già in voga, conosciuta, stimata e forse faceva anche un po’ paura con la sua austera copertina inquisitoria! Ma chi la comprava? Costava già 30.000 lire più o meno.

A 20 anni avevo già svolto svariate stagioni estive in uno degli alberghi più IN, del mio Tigullio (Tratto della Riviera Ligure che comprende a Ponente il paese di Camogli e arriva a Levante fino a Moneglia).

D’estate si usciva tutte le sere dopo il servizio e la Liguria era ancora un luogo dove il turismo piacevole, quello giovane e rumoroso, fatto di drink e serate sulla spiaggia fino alle 4, era ancora una realtà.

Alla domanda di qualche bella turista in villeggiatura, dopo un inverno passato nella nebbia:

”che fai, lavori?”

Ed Io:”Si, si nell’impresa di famiglia, eh,eh. Siamo commercianti!”

E chi si sognava di dire che si faceva un lavoro sporco e puzzolente di fritto come quello del cuoco?

Mi vergognavo!

In effetti i tempi sono un po’ cambiati.

Ora i ragazzi di 16 anni si iscrivono alla scuola alberghiera perché credono di fare un reality show e diventare come Gordon Ramsey!

La differenza sostanziale fra le categorie di cuoco che c’era in quei anni e nel territorio in cui sono cresciuto, era fra i cuochi d’albergo e quelli di ristorante.

Dove il luogo comune, anche fra gli addetti ai lavori, era che il primo, più mazza, faceva una cucina internazionale codificata seguendo ricette e regionali o classiche sia francesi sia italiane e il secondo, più creativo e talentuoso creava al momento piattini con i prodotti a Km zero delle nostri mari e colline!

Solo che in Francia esistevano da mezzo secolo i ristoranti stellati come Il “Taillevent”, La “Tour d’argent”, i fratelli “Troisgros” (tristellati solo dal 1968) e avevano il Ritz, il Crillon e Fauchon e mille altre tipologie di somministrazione eccellente, dove la gastronomia era un arte e un modo di essere colto, ricco, figo.

Comunque con l’avvento della globalizzazione si è spianato tutto, verso il basso ovviamente, per molti in modo più democratico e popolare o populista? Per me verso il basso e basta.

Mah, comunque a fronte di questi nuovi mezzi di comunicazione che hanno reso obsoleti certi ambienti e castrato certe maniere romantiche di intendere il lavoro artistico ed eccellente dello chef che crea e propone per il pubblico pagante, abbiamo di contro lo chef più famoso di Cristiano Ronaldo che crea e propone per un pubblico che paga circa 50 euro al mese per l’abbonamento a Sky!

In effetti se avevamo bisogno di una “spintina” per qualificare il nostro bel lavoro ed emanciparlo dal ruolo di operaio semplice, con tutto il rispetto per gli operai, s’intende, dire che i mass media ce l’hanno dato, no?

Forse un pelo troppo?

Ora abbiamo:

  • chef a domicilio
  • chef per un giorno
  • chef consulenti a 360°
  • chef consulenti solo per la pasta
  • chef consulenti solo per la panificazione
  • chef maestri di scuole private per professionisti
  • chef di scuole di cucina per casalinghe
  • executive chef (quelli c’erano anche prima)
  • head chef (chef di uno specifico tipo di cucina: wok, italian trattoria, italian fine dining … ecc )
  • chef per reality show
  • chef per talent show
  • chef per show cooking
  • chef blogger
  • chef divulgatori per nuove macchine professionali
  • recruiter per chef (ricerca di personale qualificato)
  • chef di ristoranti stellati (che fanno quasi tutte le cose cui sopra tranne stare in cucina)
  • chef promoter della cucina italiana (pagati dalla camera di commercio regionale dietro bando concorso)

e credo che l’elenco possa essere anche più lungo se ci penso ancora un minuto visto che lo buttato giù in 20 secondi.

Ma allora come mai che con tutti questi sbocchi professionali creati dalla comunicazione o semplicemente creati dall’evoluzione di un crescente interesse verso la cucina, abbiamo il più alto tasso di cuochi disoccupati da almeno 30 anni a questa parte?

Nella mia carriera di chef prima e consulente dopo, ho collocato moltissimi colleghi, fatto crescere professionalmente molti cuochi coetanei o più giovani, ma mai mi era capitato come adesso che l’offerta di lavoro subordinato superasse di così tanto la domanda di personale da parte di aziende.

Se c’erano dei vantaggi a fare il cuoco, di norma un mestiere totalizzante, erano proprio quelli che ora affliggono anche la nostra categoria, ossia:

  • mai problemi di collocamento.
  • buona paga mediamente sempre riconosciuta.
  • mercato aperto in tutto il mondo se solo sapevi 2 parole d’inglese.

Forse il problema è un po’ più complicato di così, non è la categoria che in qualche modo si è ridimensionata a livello di mercato, forse il problema è macroeconomico, europeo, politico, congiunturale.

Non lo so, non lo sanno nemmeno gli economisti, figuriamoci io.

Però una cosa è certa, anche se non sono un romantico:

che bei tempi quando si andava a dormire alle 4 e il giorno dopo c’era un banchetto.

 

 

 

 

 

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